AS ROMA NEWS BONI HAALAND – Loris Boni, ex centrocampista della Roma che ha vestito i colori giallorossi tra i 1975 ed il 1979, ha parlato a TeleRadioStereo nel corso della puntata odierna di Te la do io Tokyo, ricordando la stagione 78-79 e analizzando anche la squadra contemporanea diretta da Daniele De Rossi.
Perché ha pubblicato un post su Instagram dedicato alle emozioni del derby? “Non è per cercare gloria, perché l’ho già ricevuta a quei tempi. A volte penso e mi vengono in mente determinate cose che forse in quei momenti non riesci a catalizzare perché sei preso dalla situazione. Oggi magari, a bocce ferme, sono un allenatore, ho passato una certa età e quindi mi vengono in mente tante cose che penso sia giusto esternare. Mi piace far capire alla gente di oggi come eravamo ieri, come sicuramente ero io e com’erano tanti miei compagni che hanno vissuto tante cose cose come me. Magari hanno avuto altri successi, ma comunque hanno indossato quella maglia come ho fatto io: sono sensazioni che restano per tutta la vita”.
Qualche anno fa, scoprì Haaland e lo propose alla Roma
“Questa è una storia infinita che mi dispiace sempre raccontare. Io non faccio né l’agente, né il procuratore, sono un allenatore e lavora con la Norvegia tuttora, perché la considero una seconda patria, perché la gente è rispettosa, ascolta, è un Paese molto diverso dall’Italia. Questo ragazzo l’avevo visto quando aveva 15-16 anni, poi aveva esordito in Prima Squadra facendo un secondo tempo e segnando 3 gol. Io sono andato dalla Roma a dire di andare a vederlo, ho parlato direttamente con Monchi. La prima cosa che fai in questi casi è andare dalla squadra in cui hai giocato e io sono subito andato dalla Roma e da nessun altro. Poi non so se abbiano fatto delle valutazioni o meno. Io conservo ancora la mail che gli mandai, in cui lo sollecitava ad andare a vederlo. Invece poi dopo qualche mese andò in Austria e dopo al Borussia Dortmund. Il costo era irrisorio. È chiaro che su un giocatore norvegese si storce un po’ il naso, perché sembra qualcosa di strano. Invece i norvegesi veri professionisti e veri atleti, poi capitano le eccezioni e c’è il giocatore talentuoso”.
È arrivato il norvegese sbagliato a Roma?
“No, è che con i norvegesi bisogna avere pazienza, anche se a Roma c’è molta fretta. Magari si può giudicate dopo 20 partite e non dopo 10. Io ragiono così, anche se poi è chiaro che qui servono i giocatori già pronti e non chi deve ancora diventarlo”.
Nella stagione 78-79 fu grande protagonista insieme a Di Bartolomei e Pruzzo nel salvare la Roma dalla B.
“Forse lì disputai il mio miglior finale, dopo qualche anno di purgatorio, perché ebbi un brutto incidente in un derby, di cui non voglio più parlare. In quel campionato avevo recuperato bene e mi sentivo quello di prima. Poi la società decise di darmi via e allora pur piangendo bisognava andare e dovetti andare a Pescara, anche se pensavo di poter essere ancora utile alla Roma, avrei fatto anche la panchina”.
Le piace De Rossi come allenatore?
“Molto. Non voglio dare contro a chi c’era prima, ma vedo la Roma giocare a calcio, con il giusto atteggiamento con la giusta cattiveria che l’allenatore ha dentro ma che allo stesso tempo riesce a mostrarsi calmo in panchina, perché non lo vedo agitarsi e sbraitare e questo è importante per la squadra, altrimenti sarebbero tutti nervosi in campo. Io ho sempre detto che la Roma ha la squadra e può fare bene. È chiaro che adesso ci si aspetta qualcosa d’importante e staremo a vedere come affronteranno le prossime due partite.
Com’era il derby quando giocava?
“Molto sentito, era una partita che valeva la stagione. Ne parlavamo molto tra di noi durante la stagione. Era una cosa che serviva a noi, ma poi soprattutto alla gente, perché la gente sa cosa vuol dire perdere o vincere un derby e questo ci ha sempre dato quel qualcosa in più per scendere in campo. C’era un’elettricità incredibile, forse ora in campo non la percepiscono bene. Ci sono troppi calcoli, manca quel senso di appartenenza che magari darebbe quel qualcosa in più in una partita determinante”.
Come preparava il derby Nils Liedholm?
“Lui era un allenatore che dava tranquillità, bastava uno sguardo per capire. Ci dava le motivazioni giuste, valorizzava sempre i giocatori avversari, però poi ti diceva ‘sei più forte di lui’ e questo ti caricava. Era un vero signore”.
La scaramanzia di Liedholm e l’episodio di Bacci che buttò per sbaglio un amuleto del Barone e poi venne ceduto?
“Non so se venne ceduto per quello, però quando vide questa cosa, Liedholm gli disse ‘adesso tu raccogli tutto e rimetti a posto nella mia tasca, tu non giochi più’. Glielo disse in un momento di rabbia, ma lui stravedeva per Bacci, era un suo pupillo perché gli ricordava se stesso da giovane, era alto ma molto tecnico. Era un giocatore con delle doti, poi forse gli è mancata la continuità”.
Chi è favorita tra Roma e Lazio.
“È normale che io dica potenzialmente la Roma ha qualcosa di più. Però ritengo la Lazio molto temibile dalla trequarti in su, quindi la Roma dovrà essere perfetta nella fase difensiva. Dietro dovranno stare attenti a determinati giocatori e davanti serve più presenza, recuperando certi giocatori. Speriamo che domani Lukaku non stia sotto l’ombrellone, lo dico scherzando, chiaramente”.
Sul pubblico.
“All’Olimpico c’erano sempre 80mila persone, anche di mercoledì in Coppa Uefa. All’allenamento venivano 5mila persone. Quella è Storia”.
Sul mondo dei procuratori.
“Nel calcio di oggi ormai contano molto i procuratori che poi magari parlano, parlano, ma per loro interesse e non per la società. Purtroppo adesso il calcio è così e bisognerebbe cambiare le regole”.
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