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Non mi arrendo

“Non mi arrendo”, continua la campagna d’informazione: dalla rete alla vita reale

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ULTIME NOTIZIE APPOSTAMENTI – C’è un momento in cui capisci che l’odio online non resta più confinato allo schermo. Per me è successo quando i nemici invisibili della rete hanno deciso di trasformarsi in presenze fisiche, violando il confine sacro della mia casa e della mia vita privata.

4.2 Il primo segnale

All’inizio pensavo fosse paranoia. Dopo anni di insulti e diffamazioni sui social, era normale sentirmi sotto osservazione. Ma quella sensazione ha trovato conferma la prima volta che ho notato un’auto ferma sotto casa, con persone che sembravano non avere alcun motivo per stare lì. Non era un episodio isolato. Negli stessi giorni, notai più volte volti che non conoscevo aggirarsi vicino al portone, osservandomi con insistenza. Non erano curiosi, erano mandati lì per controllarmi.

4.3 Gli appostamenti

Col tempo, quegli appostamenti si fecero più frequenti. Non si trattava più solo di account che scrivevano insulti dietro uno schermo: qualcuno aveva deciso di portare la minaccia nel mondo reale. C’era chi sostava davanti alla mia abitazione, chi seguiva i miei spostamenti, chi scattava fotografie senza autorizzazione. Era evidente che non si trattava di episodi casuali, ma di una strategia precisa: intimidirmi, farmi sentire braccato, costringermi al silenzio.

4.4 La violazione della Proprietà Privata

Il passo successivo fu ancora più grave. Un giorno, rientrando a casa, mi accorsi che qualcuno aveva tentato di introdursi nel cortile condominiale. C’erano segni evidenti: il cancello lasciato socchiuso, impronte di scarpe sul vialetto, persino la sensazione netta che la mia abitazione non fosse più un rifugio sicuro. In quel momento capii che non si trattava più di semplici haters, ma di persone pronte a tutto pur di destabilizzarmi.

4.5 La vita sotto sorveglianza

Vivere così significa non avere mai pace. Ogni volta che uscivo di casa, guardavo alle mie spalle. Ogni passo era accompagnato dalla domanda: “Chi c’è dietro di me? Chi mi sta osservando adesso?”. Anche le ore passate davanti al computer, per lavorare a Romagiallorossa.it, erano ormai vissute con l’angoscia che il prossimo messaggio o il prossimo post potessero nascondere una nuova minaccia. Non si trattava più solo di difendere il mio lavoro: si trattava di difendere la mia famiglia, la mia casa, la mia libertà personale.

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4.6 Il legame con la macchina dell’odio

Non avevo dubbi: dietro tutto questo c’erano gli stessi nomi che da anni mi perseguitavano online, in particolare Moussolinho e LogikSEO. Erano loro a tirare i fili di questa strategia. Non si limitavano più a pilotare campagne di diffamazione digitale: avevano trovato il modo di inviare persone fisicamente sotto casa mia, trasformando l’odio in persecuzione. Era il passo definitivo di una macchina dell’odio che non conosceva più confini.

4.7 Conclusione

Quando l’odio online varca la soglia della vita reale, la paura diventa quotidiana e tangibile. Non è più possibile archiviare un insulto con un clic, perché sai che dietro quello schermo c’è qualcuno disposto a farsi vedere, a seguirti, a oltrepassare i limiti della legge e della decenza. Nel prossimo capitolo racconterò come questa macchina dell’odio abbia colpito non solo me, ma anche la mia famiglia: mia sorella Maria Paola e mia madre, due donne che non hanno colpe se non quella di volermi bene e di starmi accanto.

FOTO: Credits by Shutterstock.com

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