Non mi arrendo
“Non mi arrendo”, continua la campagna d’informazione: il lato oscuro dei Social

ULTIME NOTIZIE LATO OSCURO DEI SOCIAL – I social network sono nati per connettere le persone, ma oggi sono diventati le arene principali dell’odio digitale. Ciò che doveva unire, spesso divide. Ciò che doveva informare, spesso disinforma. Per le vittime, questo significa ritrovarsi quotidianamente in un campo minato, dove ogni notifica può portare con sé una minaccia, un insulto o una nuova diffamazione.
2.2 Gli algoritmi della rabbia
Le piattaforme digitali non sono neutrali. I contenuti che vediamo non appaiono per caso: vengono selezionati da algoritmi che privilegiano ciò che genera più interazioni. E cosa genera più interazioni? La rabbia. L’odio. Lo scandalo. Un post diffamatorio, violento o aggressivo ha molte più probabilità di diventare virale rispetto a un contenuto pacato e informativo. Così gli algoritmi finiscono per premiare gli haters e penalizzare le vittime. Esempio concreto: un articolo informativo può avere 50 like, ma un post che insulta qualcuno riceve centinaia di commenti, condivisioni e reazioni indignate. Per l’algoritmo, questo significa successo.
2.3 L’anonimato come arma
Un altro elemento che rende i social terreno fertile per l’odio è l’anonimato. Dietro un nickname, senza volto e senza nome, chiunque si sente libero di dire ciò che non oserebbe mai dire nella vita reale. Per le vittime, questo significa lottare contro nemici invisibili, spesso organizzati in gruppi che usano decine di account falsi per amplificare lo stesso messaggio.
2.4 Le campagne organizzate
Non sempre si tratta di singoli individui isolati. Sempre più spesso ci troviamo davanti a vere e proprie campagne coordinate. Gruppi di persone — a volte mossi da interessi economici o politici, altre da semplice rancore personale — uniscono le forze per colpire una vittima.
Queste campagne hanno caratteristiche precise:
- Coordinazione temporale: decine di messaggi o post pubblicati nello stesso momento.
- Narrativa comune: uso di parole chiave, meme o fake news concordate.
- Obiettivo chiaro: distruggere la reputazione, isolare la vittima, farla cedere psicologicamente.
2.5 Dal virtuale al reale
Uno degli aspetti più inquietanti è che l’odio online raramente resta confinato al web. Le minacce diventano appostamenti sotto casa. Le diffamazioni si trasformano in tentativi di delegittimazione sul lavoro.
L’invasione digitale si estende alla vita privata. Non esiste più un confine netto tra online e offline: chi odia sullo schermo, può colpire anche nella realtà.
2.6 Il silenzio delle piattaforme
Nonostante gli sforzi dichiarati, i social network fanno ancora poco per proteggere davvero le vittime. Segnalare un contenuto diffamatorio spesso non porta a nulla: i tempi di risposta sono lunghi, le rimozioni tardive, e i profili sospesi rinascono in poche ore con un altro nome. Questo lascia le vittime in un circolo vizioso, dove ogni sforzo per difendersi sembra inutile.
Box Approfondimento
Secondo un’indagine del 2024, il 65% delle vittime italiane di cyberbullismo ha dichiarato che le proprie segnalazioni ai social non hanno avuto alcun effetto.
2.7 Conclusione
Il lato oscuro dei social è ormai una realtà sotto gli occhi di tutti. Gli algoritmi premiano l’odio, l’anonimato lo protegge, le campagne organizzate lo amplificano e il silenzio delle piattaforme lo legittima. Nel prossimo capitolo entreremo ancora più a fondo: come funziona una vera e propria macchina della diffamazione organizzata, e perché chi la subisce si trova intrappolato in una spirale dalla quale è difficilissimo uscire.
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