Silvio Baldini

NOTIZIE AS ROMA BALDINI – “Ho capito che era più importante la mia libertà, la passione per il calcio, piuttosto che avere centomila euro in più in banca, una Ferrari e qualche bella figa intorno”.

Silvio Baldini – 60 anni compiuti, nato nel 1958 – è l’allenatore della Carrarese prima in classifica in C dopo quattro giornate, a 10 punti. Un presente appagante, che restituisce dignità ai suoi trascorsi in Serie A da tecnico di Empoli, Catania e Parma. Non sempre ha avuto fortuna o modo di gestire una personalità esuberante, da ”toscanaccio”.

Viene ricordato da molti per un calcio nel sedere al collega Domenico Di Carlo, in un Parma-Catania del 2007. Ma quello fu solo un momento di tensione. Baldini è un tecnico vero, competente, che ha fatto della proposta offensiva un cardine della sua idea di calcio. Spalletti lo definisce ”un creativo, uno che la tattica può insegnarla a tanti”. ”Ma il calcio non è numeri e schemi, è tante altre cose…”, sottolinea.

E qual è la sua idea di calcio?
“Io gliela posso anche dire la mia idea di calcio, ma poi a chi può interessare? Poi c’è qualche testa di cazzo che legge e dice: “Ma chi è questo Baldini? Che ha vinto per parlare così?” Sia chiaro che io non l’ho cercata, lei mi ha chiamato per avere delle opinioni. Mi è pure costata tanto questa intervista…”.

Ma meglio non scrivere il perché.
“Meglio di no, resta un mistero tra noi”.

Promesso. Però, tornando al calcio, a chi la legge l’intervista interessa conoscere la sua idea di calcio.
“Guardi, io le dico solo due parole: il coraggio e la paura. Questi sono i miei principi di calcio, poi capisca lei il senso delle mie parole”.

Spieghi meglio, però.
“È tutta una questione di prospettive, di come i calciatori interpretano anche un solo gesto tecnico. Le faccio un esempio: una verticalizzazione per me è coraggio. Un calcione in avanti
per spazzare la minaccia dall’area è paura. Se ci pensate, a vederli, sono più o meno la stessa cosa. Ma è l’interpretazione a fare la differenza. E questo i ragazzi devono percepire. Di questo li devi convincere. Di avere coraggio e non paura”.

Lei pure ha avuto coraggio a ripartire dalla Carrarese dopo aver lavorato in Serie A.
“Coraggio perché? Basta che ci sono un pallone, un campo di calcio, un gruppo di giocatori che ti seguono e la passione per questo sport. A me sta bene così. Non mi servono la notorietà, avere un conto in banca notevole o una barca da esibire al porto. A me bastano le cose semplici della vita. Uscire con gli amici la sera, una passeggiata in montagna quando non si gioca la domenica. Coltivo le mie radici, portandomi dietro gli insegnamenti della famiglia. Alleno gratis, con piacere di farlo”.

Gratis?
“Le ripeto, ho fatto una scelta. Così come pure qualche elemento della mia squadra che è venuto a Carrara per finire la carriera divertendosi. Faccio riferimento a Tavano e Maccarone, che hanno quasi quarant’anni, ma sono qui per giocare a calcio. Hanno giocato in campionati esteri, in Nazionale, hanno fatto gol ovunque, oggi sono da noi. Prendono giusto un rimborso spese e insegnano ai più giovani i segreti di questo mestiere. Ci divertiamo, facciamo calcio con pochi soldi”.

Può quantificare?
“La nostra squadra ha un costo di gestione intorno al milione e mezzo all’anno. Quando parlo con alcuni colleghi mi prendono per matto o non mi credono. Altri club stanno sui sei/sette milioni all’anno. Però è così. Ci vogliono idee e applicazione. Il lavoro quotidiano che non è soltanto quello che si fa in campo nelle due ore di allenamento. Ma pure stare appresso ai giocatori nella vita fuori dal campo”.

Educarli da atleti.
“Esattamente. Il ragazzo deve gestirsi nell’alimentazione, nelle ore di sonno, nelle scopate… (testuale con risatina annessa, ndr) La fortuna di una squadra dipende da tutti questi piccoli fattori, non solo da un gesto tecnico sul terreno di gioco o da una sovrapposizione mancata. È un’insieme di roba, un’insieme di sfumature. Basta anche l’umore di un magazziniere che inficia sul carattere di un giocatore e quello si esprime in campo condizionato. Ma l’Italia è fatta così, si giudica il lavoro di un allenatore solo dai risultati ottenuti e le società spesso vanno appresso agli umori generali. Non si va a fondo nelle cause della sconfitta. E non si prende mai in considerazione un aspetto, che in campo vanno anche gli avversari e che le partite si possono vincere, ma pure perdere e pareggiare. E io nella carriera ho avuto problemi anche a rapportarmi con le società che non capivano certe dinamiche. Un dirigente raramente si mette in discussione, ma dà sempre la colpa a qualcosa o qualcuno. Si organizzano ritiri pensando che possano risolvere qualcosa”.

La Roma, però, in questo senso ha rappresentato un’eccezione portando la rosa in ritiro dopo la sconfitta di Bologna.
“Ecco, la Roma ha ricominciato a vincere dopo quella gara sbagliata. Ma può essere stato merito solo del ritiro di due giorni? Non credo. S’è confermata la fiducia a un allenatore che lo scorso anno ha fatto grandi cose in Champions League battendo il Barcellona e la ruota ha ripreso a girare come doveva. Però, le dico, sabato fate attenzione all’Empoli. Non avrete vita facile, anzi…”.

Quali insidie intravede per i giallorossi al Castellani?
“L’Empoli di Andreazzoli è una squadra che gioca a pallone. Aurelio da quando siede su quella panchina ha portato una mentalità diversa, ha dato certezze e propone un calcio offensivo. È stato promosso senza perdere mai e pure in questa stagione ha fatto molto bene, nonostante i risultati. La prestazione dell’Empoli non è mai stata inferiore a quella delle avversarie. Ha avuto sfortuna in molti casi. Poi, è chiaro, se hai Dzeko centravanti è un conto e Caputo è un altro. Ma pure lì dipende tutto dalle motivazioni dei singoli. Dal coraggio e dalla paura”.



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