Editoriale
Roma senza ambizione: proprietà, dirigenza e tifoseria hanno perso il desiderio di vincere

AS ROMA NEWS FRIEDKIN DIRIGENZA – Se una squadra come la Roma perde un’amichevole in maniera indecorosa, subendo un umiliante 4-0 contro l’Aston Villa, e la reazione dell’ambiente è un silenzio assordante, significa che qualcosa si è rotto nel DNA stesso del club. Non si tratta di fare drammi per una partita estiva, ma di avere quel minimo di orgoglio e sana ambizione che dovrebbe appartenere a ogni tifoso vero.
La mentalità vincente nasce anche dall’insofferenza per certe figure barbine. Guardiamo altrove: il Napoli, negli ultimi tre anni, ha vinto due scudetti e, anziché accontentarsi, ha alzato l’asticella acquistando Kevin De Bruyne e altri giocatori di livello assoluto per rafforzare una rosa già competitiva. A Roma, invece, si parla solo di giovani promettenti e di prospettive future, senza mai portare a casa quei campioni affermati che possono fare la differenza subito e creare il giusto mix tra freschezza ed esperienza.
Gasperini, la vittima designata
In tutto questo, Gian Piero Gasperini è la vittima più evidente. Sin dal primo giorno ha chiesto profili adatti al suo calcio intenso e verticale, ma per ora non li ha visti arrivare. La società preferisce puntare su giocatori “giovani e rampanti” piuttosto che su innesti di qualità già consolidata, indispensabili per competere ad alto livello.
Un’anestesia lunga due proprietà
La verità è che la Roma è stata anestetizzata dalle ultime due proprietà americane. Prima James Pallotta, che ha spento ogni ambizione di vittoria con un progetto che puntava più a fare plusvalenze che a sollevare trofei. Poi i Friedkin, che dopo l’effetto speciale dell’arrivo di José Mourinho — culminato in una Conference League vinta e due finali europee giocate — non hanno saputo dare quella sterzata decisiva ai sogni di gloria romanisti.
Ogni anno c’è una scusa pronta: il Fair Play Finanziario, il settlement agreement con la UEFA, gli ingaggi troppo alti, i cartellini troppo costosi. Nel frattempo, le grandi ambizioni vengono archiviate e sostituite da un “vediamo cosa succede” che non appartiene a un club che vuole vincere.
I “Romanistoni” e il problema culturale
E il problema non è solo societario. Una parte della tifoseria, quelli che definisco “Romanistoni”, sembra accettare tutto. Stadio sempre pieno, sold out garantiti, entusiasmo immutato a prescindere dai risultati e dalle ambizioni. Un amore incondizionato, certo, ma che diventa pericoloso quando si trasforma in accondiscendenza verso chi, anno dopo anno, spegne i sogni di vittoria.
Un futuro già scritto?
Gli americani hanno cancellato, pezzo dopo pezzo, quella fame di vittoria che una volta era parte integrante dell’essere romanisti. Questo è un peccato capitale, imperdonabile per chi vuole davvero vincere. E anche Gasperini, prima o poi, si accorgerà che senza investimenti mirati e una mentalità da grande club, il suo progetto resterà incompiuto. La Roma deve ritrovare l’ambizione. Perché senza sogni di gloria, non resta che l’abitudine di tifare. E quella, da sola, non porta trofei.
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