Marcello De Vito

Dicono che appena arrivato nella cella di Regina Coeli, compagno di stanza un ragazzo magrebino, Marcello De Vito abbia chiesto quattro cose, ai secondini: «Lenti a contatto, carta e penna. E un tappetino, per la ginnastica». Con carta e penna, il presidente dell’Assemblea capitolina caduto in disgrazia, impelagato nell’inchiesta stadio con la pesante accusa di corruzione, ha buttato giù una lettera di quattro pagine. Spedite, tramite gli avvocati, alla sindaca Virginia Raggi e ai consiglieri capitolini, i colleghi che, fino all’arresto del 20 marzo, governava dal più alto degli scranni dell’Aula Giulio Cesare. Potrebbe essere solo un assaggio di quella che lui chiama «la mia verità», assicura chi lo conosce bene. La prefazione di un «memoriale» più denso – di ricordi, di accuse – e che metterebbe nel mirino gli ex compagni di partito.

Perché ribadendo che non ha la minima intenzione di dimettersi, né da consigliere, né da presidente dell’Aula, De Vito nella lettera se la prende soprattutto con gli «amici» che lo hanno «abbandonato», per cui dice di provare «rabbia e delusione». «Ho ricevuto maggiore solidarietà dalle persone in queste retrovie che in qualsiasi altro posto», annota con calligrafia leggera, e parole pesanti. Se la prende con Luigi Di Maio, senza menzionarlo mai per nome: «Mi sono chiesto in questo tempo cosa potrebbe decidere il nostro leader per se stesso, ove fosse sottoposto ad un giudizio: sicuramente proporrebbe un quesito ad hoc, come quello ideato sul caso Salvini-Diciotti, da sottoporre al voto online». Lui, che è stato espulso in direttissima dal capo politico, rimarca che «il nostro codice etico prevede l’espulsione dal M5S solo in caso di condanna e non si presta ad interpretazioni ad personam». «Ho compreso – scrive ancora De Vito – che abbiamo perso totalmente i nostri valori fondanti della solidarietà e della coesione». Attacca la stampa, poi; e alla mole di intercettazioni e accuse, ribatte che «non sono corrotto né corruttibile», «ho una grande prova da affrontare, sono pronto per il giudizio».

Promette battaglia: «Ho reagito, ho dedicato questo tempo all’anima, alla mente, al corpo». Sembra quasi una svolta garantista, rispetto al De Vito che mostrava beffardo le arance quando a finire in carcere erano gli esponenti del Pd. «È complesso far comprendere quanto queste mura possano insegnarti e farti ragionare sui valori di base. Sono più forte di prima», dice. E non molla lo scranno, soprattutto. «Ci ho pensato, ma non posso, non voglio e non debbo farlo!». Cita gli articoli del Regolamento del Consiglio comunale, che conosce a menadito. «La mia sospensione e sostituzione temporanea è priva di presupposti», così come «qualsiasi atto mi abbia privato» dell’«iscrizione al M5S».

CANCELLATO DAL SITO WEB È una lettera che riapre la ferita fresca dell’arresto, tra gli ex «amici» a 5 stelle. A cominciare dai consiglieri di maggioranza, sballottati tra dispiaceri umani e preoccupazioni pratiche: non si è ancora capito, per esempio, come rimuovere materialmente De Vito dalla presidenza dell’Assemblea capitolina. Per il momento, il numero uno è sparito dal sito web del Comune. Ma per scalzarlo dall’incarico, non basta un clic. I tecnici del Campidoglio, interpellati dai grillini, hanno scritto in un parere che non ci sono precedenti per una rimozione, che le norme consentono solo in caso di «gravi violazioni nell’esercizio delle funzioni». E non per un’indagine in generale. «Se lo destituiamo e fa ricorso, rischiamo seriamente di perderlo e di pagare i danni», mugugnano in tanti, nelle chat stellate. Ecco perché, con la sponda dell’opposizione, il gruppo grillino sta pensando di mettere mano al Regolamento dell’Aula. Cambiarlo, insomma, ma servirà tempo. «Mentre il Consiglio comunale, oggi, è paralizzato – dice Giulio Pelonzi, capogruppo del Pd – e tutti si aspettano che De Vito abbia ancora altro da dire, molto altro, soprattutto ai 5 Stelle».

(Il Messaggero – S. Canettieri / L. De Cicco)



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