AS ROMA NEWS FRIEDKIN GHISOLFI VITALI – A Trigoria lo chiamano semplicemente “il protocollo”, una sorta di decalogo che i Friedkin sottopongono a ogni nuovo dirigente al momento della firma. Niente interviste, nessun contatto diretto con i media e disciplina ferrea nella gestione delle informazioni: chi viola anche una sola clausola rischia il licenziamento in tronco. Il paradosso, però, è che rispettare quelle regole non garantisce la sopravvivenza in società. I numeri parlano da soli: con l’uscita di scena di Florent Ghisolfi, responsabile dell’area tecnica, e dell’avvocato Lorenzo Vitali, uomo chiave nei rapporti istituzionali e firmatario dei contratti dopo la partenza del CEO Berardi, sono diventati diciassette i dirigenti di primo piano costretti a lasciare la Roma da quando Dan e Ryan Friedkin hanno rilevato il club nell’agosto del 2020. Una media superiore a tre teste tagliate a stagione, senza contare quadri e figure di seconda fascia che, nel silenzio imposto dal protocollo, hanno comunque dovuto preparare le valigie, riporta La Gazzetta dello Sport.
Il nuovo terremoto dirigenziale arriva a poche ore dalla presentazione ufficiale di Gian Piero Gasperini, scelto da Claudio Ranieri per inaugurare un ciclo che ambisce a riportare la squadra in Champions League. Ghisolfi, in carica da poco più di dodici mesi, paga innanzitutto la scarsa presa all’interno di Trigoria e alcuni dossier di mercato finiti fuori bersaglio: il mancato rinnovo lampo di Svilar, la cessione di Angeliño all’Al-Hilal sfumata in extremis e rapporti con gli agenti considerati troppo timidi. Vitali, nominato Chief Administrative Officer dopo l’addio di Souloukou, sconta invece le frizioni con Lega Serie A, Comune di Roma e, soprattutto, la proprietà, che non gli ha perdonato un modus operandi giudicato poco allineato alla linea texana.
Il risultato è che oggi la Roma si ritrova di nuovo senza direttore sportivo e senza il suo “facente funzioni” di amministratore delegato proprio mentre il mercato, vincolato ai paletti del Settlement Agreement UEFA, entra nella fase in cui ogni operazione può fare la differenza fra un bilancio in regola e nuove sanzioni. Ranieri, ormai uomo forte dell’area sportiva, ha proposto ai Friedkin un ventaglio di profili “made in Italy”: in cima Frédéric Massara, che conosce la piazza e ha il curriculum internazionale richiesto; più defilati Nicolas Burdisso, Daniele Pradè e – sorpresa interna – Federico Balzaretti, da pochi mesi responsabile scouting. In ballo c’è la necessità di chiudere almeno due cessioni prima del 30 giugno per rientrare nei parametri UEFA e provare poi a consegnare a Gasperini quei quattro-cinque innesti che il tecnico ritiene indispensabili.
Intanto il protocollo resta, silenzioso ma implacabile, a scandire la vita dentro i cancelli di Trigoria. Forse funziona come deterrente contro le fughe di notizie, ma la lunga lista di dirigenti caduti sulla strada dimostra che l’assenza di voce in capitolo non sempre fa rima con stabilità. In attesa di capire chi sarà il prossimo a sedersi dietro la scrivania del direttore sportivo, una certezza emerge: alla Roma i ruoli cambiano in fretta, il progetto-Friedkin no. E dentro quel progetto, oggi più che mai, la sopravvivenza dirigenziale passa da risultati, sintonia con Ranieri e, soprattutto, dal saper maneggiare un protocollo che non concede seconde opportunità.
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