Chissà se troverà mai il suo sacro Graal, il talento cioè che ne appaghi il «senso estetico» con «feroce determinazione». Alla Roma non c’è riuscito. Alla fine Walter Sabatini, frugando ricordi nelle profonde boccate all’ennesima sigaretta, ha dovuto ammetterlo. Si era dimesso perché non gli fu fatto prendere Boyé? “Ma no! Dissi così per mandarla calda a Cairo che mi doveva comprare Iago Falque…”. Eh sì, perché è questa l’essenza del direttore sportivo: depistare i rivali; parlare alla nuora perché suocera intenda.

L’unico lusso che un ds non può permettersi, a prescindere dal budget, è la sincerità. Chissà se anche ieri, ormai fuori servizio, Sabatini ha bluffato. Se veramente ha vissuto questo martedì (e non il 7 ottobre scorso) come l’ultimo giorno giallorosso. Sicuramente ha esagerato ricordando il primo di giorno: “Beato Monchi. Io venni accolto come l’ex squalificato”.

Certo: la cronaca imponeva di ricordare quella disavventura legata a un presunto traffico di calciatori minorenni. Ma in realtà sei anni fa si parlò poco di lui. I titoloni erano per Luis Enrique, Lamela, Bojan. Per i dirigenti, articoli a corredo. Da che calcio è calcio i tifosi si annoiano con quelli in giacca e cravatta. Almeno fino all’avvento di Sabatini, forse il primo ds-star. Probabilmente l’ultimo.

(Leggo – R. Buffoni)

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