Passione e pathos non sono termini abituali nel linguaggio dei diritti tv, dove si parla soprattutto di risorse economiche da dividere e dati di audience da confrontare. Ma sono proprio queste due parole a tornare frequentemente nei ragionamenti di Claudio Fenucci, ad del Bologna, ex dirigente di Roma e Lecce, uno dei manager calcistici italiani che sostengono con maggiore convinzione la proposta di ridurre il numero di partite di Serie A in diretta sulle pay tv, aumentando il numero delle finestre orarie e tutelando maggiormente le esclusive.

È la strada giusta per invertire la crisi di ascolti e spettatori?
«I numeri dicono che 132 partite trasmesse in tv catturano meno del 10% dell’audience complessiva in un mercato nel quale gli operatori non si fanno concorrenza sul tipo di prodotto trasmesso, ma sul prezzo dell’abbonamento. Significa che c’è spazio per una riduzione delle gare in diretta la domenica alle 15. Questo permetterebbe di recuperare un rapporto sano con i tifosi. Sarebbe un messaggio chiaro per dire che andare allo stadio è importante. Però, contestualmente alla riforma, bisognerebbe introdurre alcuni vincoli».

Quali?
«Parte dei ricavi da diritti tv, divisi in maniera più meritocratica rispetto al sistema attuale, andrebbe destinata dai club all’ammodernamento di stadi e centri sportivi. Solo così si creerebbero le condizioni per riempire le tribune nel fine settimana. Senza arrivare per forza alla costruzione di nuovi impianti, occorre lavorare, ad esempio, per migliorare le aree ospitalità, dotare di schermi i bar delle curve e rendere decorosi i bagni. Solo allo stadio si può recuperare il senso di identità del tifo pulito, come successo in Inghilterra».

È una riforma fattibile?
«Stiamo già parlando del prossimo bando, ma tra club dobbiamo ancora decidere i criteri di fatturazione del triennio in corso. Si faranno le opportune valutazioni con l’advisor. Ci sono ampi spazi di discussione. Ogni club ha la sua posizione, ma si può trovare un percorso comune».

Cosa risponderebbe al tifoso meridionale di una grande del nord che dovrebbe rinunciare alla partita della sua squadra in tv la domenica pomeriggio?
«Le grandi, che ricavano di più dai diritti televisivi, giocherebbero spesso negli “slot” utili a intercettare i tifosi internazionali per ridurre il gap sui diritti esteri con Spagna e Germania. Nell’arco di un anno i tifosi di una “big” potrebbero perdere 3-4 partite. Ma questo aprirebbe altri scenari: potrebbero aumentare di valore i diritti in chiaro perché in quelle giornate le sintesi varrebbero molto di più».

Quindi i tifosi tornerebbero ad aspettare 90° minuto come succedeva 30 anni fa?
«Sì, bisogna recuperare passione e pathos nei confronti dell’evento calcistico. Da ragazzo andavo due ore prima all’Olimpico anche se pioveva. Non è che gli stadi fossero più comodi. Anzi, non c’era nemmeno la copertura. C’era semplicemente più passione».

(La Repubblica – S. Scacchi)



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