Uno stadio «a rischio inagibilità», con infrastrutture ampiamente insufficienti in una zona a rischio inondazione «impossibile da evacuare in tempi rapidi», e che genererebbe un «futuro enorme danno erariale» per il Campidoglio, tale da «mettere a rischio i futuri bilanci comunali». Sono questi i passaggi centrali della diffida al Comune spedita per conoscenza alla Procura di Roma, alla Corte dei Conti e all’Autorità nazionale Anticorruzione che mette nel mirino il progetto Tor di Valle e la delibera votata dall’amministrazione M5S a metà giugno. Una denuncia, firmata dai Radicali, che si somma all’esposto già depositato dal Codacons all’Anac, che infatti ha chiesto informazioni preliminari al Comune proprio sulla procedura che ha dato il primo via libera al controverso progetto del nuovo stadio.

NESSUNA TRASPARENZA – La diffida finita in Procura e all’Anticorruzione segnala «la sottovalutazione dei rischi che l’attuazione del progetto produrrà». Le infrastrutture di trasporto pubblico – per cui i privati spenderanno appena 98 milioni di euro, «cifra irrisoria per le opere di mobilità» – secondo la denuncia non possono reggere l’impatto di 55mila passeggeri l’ora previsto con l’apertura dello stadio. Il progetto in teoria prevede di dividere la domanda al 50% sulle ferrovie e al 50% su gomma. Ma si tratterebbe di una «finzione», che la diffida spiega con numeri dettagliati. La ferrovia Fl1, per esempio, dovrebbe viaggiare a 7.500 passeggeri l’ora,ma oggi non supera i 3.600. Ma la capacità della tratta «non è ampliabile – si legge nell’esposto – per il vincolo costituito dalla condivisione dei binari con la linea Leonardo Express». Stesso discorso per la Roma-Lido: oggi viaggia con 4.800 passeggeri l’ora, mentre il progetto ipotizza 20mila passeggeri l’ora con solo 45 milioni da investire sui treni. Mentre la malandata ferrovia necessiterebbe di 480 milioni, secondo lo studio realizzato dalla società Ratp. Anche la rete stradale sarebbe inadeguata. Considerando che una corsia autostradale smaltisce, al massimo 1.200 vetture l’ora, ipotizzando che in ogni auto ci siano 4 passeggeri, per far affluire 27.500 spettatori a Tor di Valle «ci vorrebbero almeno 3 ore», calcola l’esposto. Il tutto in un’area oggi ad alto rischio idrogeologico, in cui «in caso di emergenza non esiste la possibilità di far evacuare rapidamente gli spettatori». Non ci sono garanzie poi sulla realizzazione del Ponte dei Congressi, progetto separato dallo stadio e finanziato dal Cipe. Ecco perché, secondo la diffida, «lo stadio non sarà agibile». La denuncia parla anche di «un abuso enorme» che avrebbe commesso il Campidoglio nel concedere quasi 600mila cubature ai privati per la realizzazione del Business park, il cosiddetto «Ecomostro» di negozi e uffici. Per Tor di Valle i privati avrebbero ricevuto metri cubi «senza una preventiva stima trasparente del valore delle volumetrie» e «procedure di confronto competitivo». In generale, secondo la diffida, quella di Tor di Valle è un’operazione in cui «il costo pubblico, al cospetto del costo privato e dei relativi benefici, è del tutto sproporzionato». E in cui «l’interesse pubblico è inesistente e irrealizzabile». Così come l’interesse dei tifosi, secondo l’estensore della diffida, Riccardo Magi: «Lo stadio non sarebbe dell’As Roma, che giocherebbe in affitto. Un grande club come quello giallorosso – dice il segretario dei Radicali – meriterebbe invece uno stadio di proprietà».

I DUBBI DI CONSOB – Sulla vicenda stadio anche Consob aveva chiesto chiarimenti e si era rivolta a Unicredit per stabilire se il taglio delle cubature, necessario per il via libera finale del M5S, avrebbe influenzato la solvibilità finanziaria del costruttore Luca Parnasi rispetto all’istituto di credito, appena uscito da un sostanzioso aumento di capitale. Alla Commissione di controllo sulla borsa, in merito ai rapporti con Parnasi e James Pallotta, Unicredit ha risposto che «a far data dall’agosto 2013 non ha più in essere alcun rapporto creditizio con la società, e che dall’agosto 2014 ha ceduto l’ultima interessenza nel capitale azionario». Ma poi lo stesso istituto ha fatto riferimento a due fronti aperti con le aziende di Parnasi: Eurnova, proprietaria dei terreni dello stadio e Parsitalia, la holding della famiglia di costruttori che ha maturato un debito nei confronti dell’istituto di credito pari a 130 milioni di euro, considerato dalla banca «a rischio limitato».

(Il Messaggero – L. De Cicco/V. Errante)



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