AS ROMA NEWS DERBY – Forse nel tempo ci si era abituati troppo bene. Perché la Roma, che nei suoi 98 anni ha avuto più storie da raccontare e personaggi da esibire che vittorie da festeggiare, il suo uomo derby ce l’ha sempre avuto, riporta Il Messaggero. Da Giannini a Totti, passando per Delvecchio e Montella, De Rossi e Dzeko, il suo punto di riferimento, la stella polare alla quale aggrapparsi anche nei momenti di buio calcistico, la tifoseria giallorossa ce l’ha sempre avuta. E non si tratta soltanto di gol o assist.
È chiaro che uno come Super-Marco capace di far ammattire un fuoriclasse della difesa come Nesta, è un flash che resterà impresso per sempre. Come le reti di Francesco e le sue esultanze: il selfie sotto la curva o la maglietta del V’ho purgato ancora che creò tante polemiche quanto poi divenne uno slogan generazionale in un’epoca che non conosceva ancora i social.
Una guida è stato De Rossi che le stracittadine le soffriva maledettamente sia quando giocava che quando ha allenato ma che poi, richiamato alla stregua del Pifferaio di Hamelin, si è addirittura travestito per tornare ad assaporare la gioia di guardarsi un Roma-Lazio dagli spalti. E quando non erano i calciatori, ci pensavano gli allenatori. A suo modo Zeman, che di derby da allenatore in giallorosso non ne ha vinto nemmeno uno e ne ha persi 4 in una stagione, gli è bastato pareggiare quello dell’aprile 1998, 3-3 in rimonta.
Per non parlare di Ranieri, l’imbattuto, una sorta di higlander della panchina che solo all’ultimo atto, con il pari dell’aprile scorso, ha “sporcato” il record di 5 vittorie su 5. E oggi? In teoria ci sarebbe Pellegrini, l’ex capitano che doveva partire e invece è rimasto. Lorenzo, a suo modo, è un uomo derby. Romano, romanista, 22 incroci con Lazio e già tre gol all’attivo di cui due decisivi, domani però può aspirare a incidere subentrando in corsa piuttosto che dal via.
Basterà? La cosa singolare è che nella precarietà dei punti di riferimento attuali ai quali aggrapparsi, anche chi lo critica guarda a lui con un briciolo di speranza. Perché il derby alla fine si vince con gli schemi, con il pressing, con il cuore e/o con l’e pisodio ma si porta dietro un alone di mistero e di magia, che soltanto chi lo ha giocato o lo ha vissuto può capire. Ieri Totti, intervistato in occasione dell’EA 7 World Legends Padel Tour a Istanbul, alla domanda ‘Prova a spiegare a chi non è romano cosa è il derby ha sentenziato: «Non lo può capire».
E allora su chi sperare? Perché ascoltando sempre Francesco che si rifugia rispondendo «nel gruppo», quando gli viene chiesto il calciatore che in previsione della sfida lo intriga di più, le scelte sono limitate. C’è Mancini, che pur nativo di Pontedera è da considerare a tutti gli effetti come romano acquisito.
Lo può diventare Soulé che già lo scorso anno ha lasciato il segno e ora, soprattutto considerando l’infortunio di Dybala, è chiamato a ripetersi. Oppure si deve sperare nel volto nuovo. E tutte le strade portano a Ferguson, che per temperamento non dà l’idea di essere uno che s’intimorisce. Sbloccarsi poi, tornando al gol dopo un anno, proprio nel derby, lo lancerebbe nella storia.
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