Luciano Spalletti, allenatore della Roma

In un anno Dzeko e Immobile sono passati dalla collezione di panchine a giocare il derby che vale una finale con un bottino di 53 gol in due. La prova nero su bianco che a questo Roma-Lazio il passato non interessa: ha occhi solo sul futuro. Il futuro di Spalletti rischia in fin dei conti di dipendere tanto da questi 90 minuti: «Per noi è una linea importante che può determinare molto, i miei calciatori lo devono sapere», ammette l’allenatore. Ma la rincorsa dopo il 2-0 laziale dell’andata apre una finestra pure sul futuro di Totti, che una partita così determinante potrebbe non viverla più. E del neo ds Monchi, che aveva persino pensato di esserci, stasera all’Olimpico, salvo fare retromarcia (anche se qualcuno giura che alla fine ci sarà) all’ultimo momento. Certo uno spagnolo come lui si sentirebbe a casa, visto che tutto intorno al derby la parola più inflazionata ha accento catalano: remuntada, come quella del Barça sul Psg. Solo che la Roma non ha Neymar e rischia di perdere pure Fazio o De Rossi (acciaccati, dovrebbero recuperare come Immobile nella Lazio): «La percentuale è a loro favore – riconosce Spalletti – ma noi abbiamo forza e struttura mentale per forzare questa partita».

Nel dubbio Inzaghi passa la vigilia a ribadire quasi compulsivamente le parole “umiltà” e “sacrificio“, come fossero un karma da regalare alla sua Lazio: «È la sfida delle sfide, si passa solo con testa e cuore, dimentichiamo i due gol di vantaggio, guardate cos’è successo al Psg con il Barça. Abbiamo giocato solo il primo tempo». Anche per lui la coppa vale una discreta fetta di avvenire, in fondo. Perché il contratto di Inzaghi, in scadenza come quello del collega romanista, si rinnoverà da sé fino al 2019 in caso di qualificazione all’Europa. E anche se la finale di coppa (contro la vincente di Napoli-Juve, in campo domani, si parte da 1-3) non garantisce da sola un pass per l’Europa League, aumenterebbe esponenzialmente le probabilità di finirci: con il trofeo oppure, in caso di sconfitta, allungando fino al sesto posto in classifica le qualificate alle coppe. La sorte gli offre l’opportunità, a un anno esatto dall’arrivo sulla panchina della Lazio (fu scelto proprio dopo un derby perso da Pioli) e a poche ore dallo scoccare del suo compleanno (è domani).

Un’opportunità è pure quella che le istituzioni hanno regalato ai tifosi, visto che la rimozione delle barriere nelle due curve porterà all’Olimpico circa 50mila spettatori. Così tanti non se ne vedono da 813 giorni, l’ultima volta l’11 gennaio del 2015, il derby del selfie di Totti. Anche per questo pare che gli ultrà abbiano deciso di fare i bravi: i romanisti, al rientro dopo 19 mesi di assenza, e i laziali hanno chiesto alla questura le autorizzazioni per esporre coreografie e striscioni, processo ovvio solo per chi non conosce le dinamiche della capitale. Che per il “regalo” di un derby quasi “vintage” ringrazia il ministro Lotti – annunciato allo stadio – con striscioni firmati dai tifosi giallorossi in città. Per una volta, il gol più atteso dai tifosi di Roma e Lazio, non lo ha segnato né Dzeko né Immobile.

(La Repubblica – M. Pinci)



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