ULTIME NOTIZIE STADIO DELLA ROMA FRIEDKIN – Uno stadio pieno di cattivi pensieri. Se quello che la città di Roma intendeva sottoporre al mondo internazionale del business era una sorta di biglietto da visita dell’«italian style», si può dire che in una decina d’anni abbia messo in vetrina un campionario di vicende da fare arrossire, scrive La Gazzetta dello Sport.

Spregiudicatezza, interessi esterni, burocrazia farraginosa, scandali, inchieste giudiziarie, insolvenze, ritardi strategici, minaccia di cause. Oltre alla nobile volontà di modernizzare il calcio italiano e rendere più solida la situazione finanziaria del club giallorosso, dal 2011 ad oggi tantissime buone intenzioni sono cresciute accanto a manovre discutibili.

Nessuna delle parti in causa può dirsi esente da colpe, ma le percentuali sono da suddividere di sicuro in modo differente, in un tourbillon che hanno visto prendersi la scena tre sindaci (Alemanno, Marino e Raggi), tre presidenti di club (DiBenedetto, Pallotta e Friedkin) e due della società proponente, Eurnova (Parnasi e Vitek).

E se la politica resta sempre l’arte del possibile, all’interno di Trigoria la parola d’ordine è una: ora o mai più. Con lo scivolare della sabbia nella clessidra che rende più probabile la seconda ipotesi, visto che l’indispensabile revoca di Pubblico Interesse al progetto di Tor di Valle quasi certamente non sarà votata prima della fine della consiliatura.

Il vecchio progetto, per la Roma, non era più sostenibile. Così a febbraio, quando i Friedkin hanno deciso di ufficializzarne l’abbandono – evidenziando anche inadempienze da parte di Eurnova – la sindaca Raggi ha accolto la notizia senza problemi, anche perché la Roma ha in animo un nuovo progetto relativo al solo stadio, in un’area già servita da infrastrutture e condivisa con l’amministrazione.

Insomma, il matrimonio perfetto, per il quale i Friedkin hanno già trovato partner. Tutto però necessita di una condizione di fondo: la revoca del Pubblico Interesse. E qui torna in scena l’altro proponente, Eurnova, proprietario dell’area di Tor di Valle, che, passato da Parnasi al magnate ceco Radovan Vitek, da partner è diventato avversario della svolta, visto che il rischio di una causa per danni (si parla di cento milioni) non metterebbe in difficoltà solo il Comune, ma anche i singoli consiglieri, nonostante l’Avvocatura e la stessa Roma stiano provando a rassicurarli riguardo l’autotutela. Per questo non è escluso che il Consiglio chieda una nuova istruttoria, anche perché lo stesso Vitek vorrebbe incontrare anche lui l’amministrazione. Risultato: stallo.

Il resto lo ha fatto la politica dell’ultimo quinquennio e le elezioni per il Campidoglio alle porte. La Raggi, su questo tema, può contare ormai solo su 19-20 voti e tutti sanno che, se la prossima settimana – fra martedì e giovedì – non si andrà al voto, la questione stadio si riproporrà non prima di un anno, nonostante l’intenzione del club di chiedere procedure d’urgenza. L’opposizione, per parte sua, non vuole risolvere i problemi alla (ex) maggioranza.

L’impressione, poi, è che il tentativo di usare i tifosi come arma di pressione sui consiglieri in vista delle elezioni, per ora non dia garanzie, nonostante si sia speso in prima persona Maurizio Costanzo, responsabile della comunicazione della società per lo stadio e “consigliere” della Raggi, provando a rispolverare persino il feeling con quelle radio private mai amate dal club.

D’altronde, anche Pallotta a suo tempo fece una chiamata alle armi, invitando la gente ad andare in Campidoglio e muovendo all’appello persino Totti e Spalletti, con l’hastag #famostostadio. L’esito è davanti agli occhi di tutti: nullo. E così, per sintetizzare la questione, riportiamo tre dichiarazioni degli ultimi giorni. Raggi: «Eurnova ha fatto pressioni sui consiglieri… è pronta una querela». Eurnova: «… si sta ponendo l’ambizione personale e l’interesse di una società privata dinanzi al bene della cosa pubblica».

Il ceo Fienga: «Senza la revoca i tifosi dovranno dire addio all’idea che la Roma abbia uno stadio di proprietà». Morale: se uno dei motivi per cui Pallotta ha deciso di vendere la società è stato la questione stadio, non è detto che i Friedkin – costretti a questo punto a vedere i loro piani legati al 2026, spostarsi in un orizzonte temporale indefinito – non decidano di seguire l’esempio del loro predecessore. Perché il calcio del Terzo Millennio, ormai, è anche (o soprattutto) una questione d’affari.

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