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Editoriale

L’esaltazione del sarrismo contro la demolizione del calcio pratico di Mourinho. Ma non è solo “questione di campanilismo”

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AS ROMA NEWS MOURINHO – E’ da circa un anno e mezzo a Roma e, come ogni settembre che si rispetti, parte il tiro al bersaglio contro Josè Mourinho. Attenzione, in questo caso la squadra non c’entra nulla: non c’entra se Pellegrini a Razgrad, a tu per tu con il portiere, invece di spaccare la porta prova il pallonetto; non c’entra se Spinazzola e Cristante a Torino regalano nei primi 15 minuti palloni a più non posso a Miretti e Co.; non c’entra il fatto che Karsdorp e Mancini siano in vena di regali di Natale anticipati rispettivamente contro Udinese e Ludogorets.

La colpa, come volevasi dimostrare, è sempre e solo di Josè Mourinho. Sì, lui, proprio l’uomo dei 26 titoli, colui che ha risvegliato Roma dal torpore dell’accoppiata Baldissoni-Pallotta che avevano anestetizzato la sponda giallorossa mentre la Lazio alzava Coppa Italia e Supercoppe italiane. Ma cos’è, in fondo, la Conference League per loro? La definiscono “una Mitropa Cup“, una “coppa delle settime” (quando in realtà negli altri campionati ci vanno anche le quarte e le quinte classificate). Allora bisognerebbe spiegare il fenomeno di massa dei 500mila tra Circo Massimo e Colosseo del 26 maggio e i 60.000 spettatori ad ogni partita della Roma. Ma si sa, sono i Friedkin che “regalano” i biglietti, non esiste un’ottima politica dei tagliandi. Ma guai a spiegarglielo.

Ma c’è un altro fatto inquietante nel derby tutto capitolino: il voler a tutti i costi esaltare il lavoro di Claudio Lotito che ha speso 50 milioni contro quello di Friedkin-Pinto che hanno speso 8 milioni e spicci per 7 giocatori nuovi di zecca. Da Dybala a Belotti, passando per Celik e Wijnaldum, continuando con Svilar, Matic e Camara (giocatori che sarebbero titolari ovunque, anche tra le cosiddette big del nostro campionato) scompaiono improvvisamente di fronte a Provedel e Cancellieri. Per non parlare della Joya, che la Roma ha soffiato all’Inter (e non solo) e ora forse Marotta lo starà rimpiangendo vedendo Lukaku perennemente in infermeria. Oppure della Juventus di Allegri, che lo ha trattato come l’ultimo degli ultimi e che, a detta del suo ex tecnico, “non rimpiange“. Vedendo Juve-Salernitana di ieri sera, forse un Dybala sarebbe servito anche a loro.

Il tiro al bersaglio di alcuni elementi della carta stampata (sempre gli stessi a dir la verità e sempre da uno stesso giornale), non fa altro che alimentare la voglia di disertare le conferenze, con l’insofferenza di Mourinho verso i giornalisti che è più che giustificata. Sarri può mostrare il dito medio nei confronti di un componente della panchina avversaria senza alcuna sanzione, mentre lo Special One non può nemmeno passeggiare nervosamente a Udine sulla linea del fallo laterale perchè ammonito da Maresca (sempre lui, peraltro) in maniera piuttosto severa (eufemismo).

Se poi entriamo nella sfera tecnica, si è (ri)scoperto il sarrismo: la Lazio con una fitta rete di passaggi va in porta che è una bellezza, ma intanto contro il modesto Verona se non ci fosse stato un bomber di razza come Immobile a toglierli le castagne dal fuoco a 20′ dalla fine, probabilmente la partita sarebbe finita 0-0. Mentre il gioco pragmatico di Mourinho viene definito antico e desueto, ma intanto continua a collezionare titoli su titoli, ultimo quello di Tirana il 25 maggio scorso, in una Piazza non certo abituata a vincere e non certo con dei fenomeni in campo. La distruzione della Roma e l’esaltazione della Lazio non è solo un derby tutto nostrano del GRA, bensì è esaltare una filosofia del calcio che ha vinto poco e niente (il sarrismo) e a demolire quella fatta di una sana e solida fase difensiva e ripartenze veloci come quella mourinhana.

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D’altronde Capello ci ha costruito una carriera, per non parlare dei 4 Mondiali vinti dall’Italia da Pozzo, Bearzot e Lippi, non proprio maestri di bel calcio. Per tornare in tempi recenti, tutti ricordiamo la finale Italia-Francia nel 2006 vinta ai rigori dagli azzurri: sono il carattere e la voglia di vincere a fare la differenza. Proprio quello che ha sempre cercato di inculcare ai proprio giocatori lo Special, quasi sempre vincendo. Ma guai a dirlo ai giornalisti esteti del calcio Dezerbiano o Dionisiano (ora ci si mette pure quello Sottiliano): potrebbero rimanerci male. D’altronde, loro, sono i fautori della frase fatta “il mio calcio“. Il calcio è uno: chi segna un gol in più dell’avversario vince. Se ne prendi pochi e fai un contropiede, vincendo 1-0, porti a casa i trofei. Quello che fa Mourinho da più di 20 anni.

FOTO: Credit by Depositphotos.com

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