Eusebio Di Francesco e Mauro Baldissoni

Eusebio Di Francesco si è assicurato l’ottava edizione del premio “Enzo Bearzot”, organizzato dall’Us Acli in collaborazione con la Figc. Il tecnico giallorosso ha battuto Simone Inzaghi e Roberto Mancini, succedendo così nell’albo d’oro a Maurizio Sarri: a stabilirlo la giuria presieduta dal commissario straordinario della Federcalcio Roberto Fabbricini.

LE PAROLE DI DI FRANCESCO

C’è stato all’inizio del tuo cammino un po’ di scetticismo?
Sì, l’ho avvertito ed è normale. L’importante è rimanere consapevoli dei propri mezzi e trasmettere il proprio pensiero all’idea di calcio. La nostra forza dev’essere quella di mantenere all’interno del gruppo una serietà e un modo di lavorare che porta risultati. Alla fine non si è vinto niente, ma anche cambiare qualcosa all’interno di un contesto è un piccolo successo, che un domani spero possa arrivare anche in campo.

Il giudizio sulla stagione?
In Europa straordinario, in semifinale volevamo ambire a qualcosa di importante. Quella mezz’ora di Liverpool ci ha tolto qualcosa, abbiamo dimostrato di poter competere e battere il Liverpool. In campionato abbiamo avuto un momento di difficoltà: anche da questi nasce un percorso di crescita, vale per noi e per i ragazzi.

Avete fissato un incontro per il rinnovo?
È l’ultimo dei problemi, troveremo sicuramente un accordo. Non abbiamo nemmeno parlato, quello che è più importante è capire cosa fare per migliorarci. Il bene della Roma è in campo ma anche fuori, vogliamo migliorare insieme.

Interviene Baldissoni: “Con Eusebio parliamo di cosa occorre fare per crescere, abbiamo idee analoghe. Vogliamo continuare insieme. C’è tanto da fare per riportare il calcio italiano dove merita stare. Il percorso iniziato nel campo e fuori è chiaro, guarda ad una competizione globale: per attrarre calciatori e partner globali, che poi consentono di portare i calciatori. Vogliamo continuare a farlo, cercheremo di riuscirci. Il percorso in Europa ha dimostrato che in certi contesti bisogna presentarsi sapendo di essere protagonisti, indipendentemente dalle aspettative”.

La parola torna a Di Francesco: “Si fa questo lavoro per fare qualcosa di importante. Sono stato bravo ad arrivare sulla panchina della Roma, ora devo riuscire a conservare questo ruolo”.

A distanza di 15 anni dall’esperienza da calciatore ha trovato cambiato l’ambiente di Trigoria? Il gap è di mentalità o tecnico-tattico?
Il gap è su entrambe le cose. Avere un comportamento importante, ricreare un senso di appartenenza, avvicinarsi ai tifosi, può aiutare. Invito sempre i miei ragazzi a condividere anche una foto con i tifosi, quando non gliela chiederanno più sarà il problema più grande.

Per chi degli altri cinque avrebbe votato?
Sicuramente Inzaghi, che fa parte della prima squadra avversaria della Roma, ha fatto un grande lavoro. È stato bravo nella gestione del gruppo. Io vengo da esperienze differenti, che sono formative per gestire un gruppo e un ambiente. Lui lo metto insieme a Gasperini, che è stato eccezionale con l’Atalanta: in Europa hanno portato il desiderio di essere aggressivi, di non essere attendisti, che è un po’ il mio calcio. Mi piace fare le partite e mi rivedo in questi allenatori con questa mentalità.

Tanti complimenti dagli altri allenatori. 
Sono sinceri da parte di tutti. Lo diceva prima mister Ulivieri, il Italia ci sono ottimi allenatori. Ognuno di noi cerca di esprimere un pensiero di calcio, ognuno ama il suo. In Italia ci sono tantissimi tifosi e allenatori allo stesso tempo, che scelgono il proprio beniamino, ma l’allenatore deve avere un suo pensiero.

Allegri ha chiesto più complimenti verso la sua squadra. Molti hanno parlato di Sarri. Tu i complimenti in più a chi li fai?
Allegri ha fatto qualcosa di straordinario, non è mai facile vincere. Ha fatto un cammino straordinario, con un pensiero diverso da Sarri: nella gestione del gruppo assomiglio a lui, nel modo di stare in campo forse più a Sarri.

Ci sono tre motivazioni per la scelta: il coraggio, la caparbietà e la tenacia. Secondo lei qual è la chiave per essere buoni testimoni di questi tre valori?
I miei colleghi hanno tolto il piacere e il desiderio dell’uno contro uno, questo fa la differenza. La capacità di avere il coraggio di superare un avversario dobbiamo infonderla noi, i calciatori devono avere la forza di poter sbagliare. Quando vado alle partite dai ragazzini resto due minuti. Sbagliano una palla e gli si chiede di buttarla, questo non è coraggio. Dico sempre ai ragazzi di osare, anche ai miei. Lo dico per tutti i livelli. Poi ci vuole la caparbietà di migliorarsi. Quando prendo un impegno e vado a giocare all’oratorio devo farlo al massimo, invece poi li vedi che arrivano al campo con la voglia di perdere tempo, perché non vogliono stare a casa. La tenacia è quella di non mollare mai e si lega a queste cose. Si passa attraverso momenti difficili per arrivare ad un obiettivo, che vuol dire crescita.

Ce l’ha fatta grazie alla gavetta?
Sono orgoglioso del Premio Bearzot perché mi rievoca ricordi adolescenziali. Ricordo la serietà che trasmetteva ai propri calciatori ed è tutt’ora di grande insegnamento: di arrotolare una pallina di carta e giocare con gli amici. Quando hai la tenacia e la forza di provarci e trovi la serietà dei ragazzi, i valori riesci a trasmetterli.

Adesso che sei allenatore sei diventato un po’ matto pure tu?
A volte bisogna farlo. Ho trovato il mio percorso, si arriva sempre a ciò che si vuole se non si molla niente. Mio padre è stato uno di quelli che mi ha sempre detto: “Vai a giocare fuori, altrimenti ti metto a lavorare”. Le persone giuste al momento giusto possono essere d’aiuto.

Alisson resta alla Roma?
Sì.

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